Parola Narrata

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Conseguenze della mancanza di parola tra genitori e figli

- Il suicidio

"Il fantasma del suicidio dei giovani adolescenti. Un tema di cui si deve parlare in famiglia per evitare drammi"

Altra piaga sociale, sintomo di un vuoto sociale che è tale in quanto è vuoto vissuto primariamente dai singoli appartenenti alla società, è il suicidio. Tantissimi giovani ogni anno, di sesso maschile e femminile, si tolgono la vita per motivi apparentemente inspiegabili, senza evidenti segnali di preavviso. Il fascino della morte appartiene alle fantasie (in psicoanalisi si preferisce il termine di fantasma) del 60% degli adolescenti. Esse sono da considerare naturali secondo alcuni studiosi o originarie all’umanità. Le fantasie legate alla propria morte sono coltivate nel segreto e assumono un carattere patologico quando il fantasma è l’unico modo per ristabilire un equilibrio interiore diventato precario. Il fantasma del suicidio diventa una sorta di rifugio dai problemi del quotidiano, un guscio protettivo nel quale le sofferenze non possono entrare.1 Il fantasma non è inconscio, ma restando nascosto nelle camere segrete della mente nessuno vi può accedere. Le femmine scrivono sull’argomento nel loro diario oppure ne accennano su internet a qualche amico virtuale o a un’amica concreta. Esse possono anche trovare nella nuova amica una persona che condivide le stesse fantasie. Ne nasce una amicizia molto stretta che può portare i due a risolvere positivamente la problematica o, in caso negativo, a organizzare un suicidio condiviso.2

Le problematiche che caratterizzano il suicidio non sono riconducibili a schemi standard. E forse più che per l’abuso di sostanze stimolanti il sistema nervoso, il suicidio, ha una eterogeneità sociale maggiormente elevata. Non soltanto i comuni fattori di devianza sono alla base delle motivazioni che spingono un giovane al suicidio. In realtà le motivazioni che più di frequente portano un giovane a compiere il gesto estremo, sono agli occhi degli altri banali o non così rilevanti da giustificare l’auto annientamento. Una bocciatura, l’esclusione dal gruppo dei pari, l’essere catalogati come “diverso”; l’incapacità di accettare e affrontare il transito psichico e fisico dall’età in cui erano i genitori a occuparsi di tutto, a una fase di sempre maggiore assunzione dei propri doveri.

L’ultimo fattore esposto è per la sua complessità uno di quelli più presenti tra i suicidi. Il cambiamento nell’età puberale è impegnativo, il giovane ha bisogno di essere affiancato nel percorso all’età adulta stando un passo indietro. Infatti, la richiesta di autonomia che egli esige è in realtà un messaggio lanciato, ben chiaro: “Io ho bisogno ancora di voi, cari papà e mamma. Ho bisogno che mi stiate vicino in questo periodo di cambiamento perché non so neanche io cosa mi sta capitando. Vi chiedo pure di stare a debita distanza perché ora ho bisogno dei miei spazi. Se è necessario rimproverarmi fatelo pure, anche se io non comprenderò o risponderò male. Mi raccomando, non lasciatemi solo/a.

L’adolescenza richiede ai genitori un loro adattamento di ruolo. In particolare la madre, deve cambiare atteggiamento passando da una fase in cui preveniva i bisogni della prole a una fase in cui deve posticipare le sue azioni. In sostanza deve essere il figlio/a a mostrare l’esigenza di essere aiutato o capita: e non sempre lo farà con le parole che il genitore si aspetta. Può anche darsi che l’adolescente usi il silenzio come parola per comunicare il suo disagio, la sua richiesta d’aiuto. Ricorrendo a una immagine, potremmo rappresentare il rapporto genitore adolescente come un legame elastico. Il giovane, senza voler realmente strappare il cordone elastico che lo lega, tende a dare degli strattoni, ma ritornerà come risucchiato da una forza irresistibile: nella nostra metafora, una forza elastica. Gli adolescenti italiani inconsciamente chiedono di essere guardati ed ascoltati3 con discrezione. L’adolescente non deve essere visto come un uomo o una donna ormai adulto/a, pienamente consapevole e capace di sfruttare le competenze fino ad allora apprese.

Riprendiamo il discorso intorno al fantasma del suicidio interrotto poco sopra, partendo dal corpo. Esso è visto come un’appendice del Sé, è la causa di tutti i mali e di tutte le sofferenze psichiche, la causa delle sconfitte sociali e degli insuccessi sentimentali. Come si può evitare che la mente sferri l’attacco mortale al corpo uccidendolo? Mettendo il giovane in condizione di parlare della morte e delle fantasie suicide con un adulto di fiducia. Ed è proprio attraverso la parola, soprattutto scritta, che gli adolescenti lanciano il segnale d’allarme. Non vanno infatti sottovalutati bigliettini scritti, casualmente ritrovati, con messaggi strani sulla morte, oppure un tema in classe in cui si accenna alla tematica. Parlare di fantasie suicide non è un rischio secondo tutte le recenti indagini sociologiche in merito.

  • «[…] è vero invece che ammutolire il bisogno di parlarne sospinge verso l’azione. L’unico antidoto alla violenza dell’azione è la parola: l’unico modo per trattenere i ragazzi dal darsi la morte è costruire legami, far sentire loro l’importanza dei vincoli. Il suicidio è rottura violenta dei legami: per resistere alla prepotenza dell’istanza suicidale il legame deve saper contenere il pensiero della morte e la sua simbolizzazione attraverso la parola, la rappresentazione».4

La narrazione in famiglia, di cui abbiamo scritto nel capitolo precedente, si pone proprio come momento in cui si costruiscono e si cementano i legami.

Si comprendono i limiti umani dei genitori, e le problematiche legate al loro vissuto, che delle volte sono quelli che hanno il peso maggiore nel difetto di comunicazione familiare. Però è proprio su di loro che i giovani devono poter contare. Sono proprio i genitori a dover suscitare il dialogo sui temi più scottanti, e, tremendamente, anche i più vicini al mondo giovanile.

Eppure far sì che i genitori del futuro siano genitori competenti è possibile. Basterebbe istituire sull’intero Territorio nazionale una rete di scuole per genitori alle quali tutti vi possono accedere con bassissimi costi d’iscrizione. Scuole ci sia permesso di aggiungere, in cui si insegna l’importanza del dare spazio e tempo alla parola. La parola come medicina dei mali familiari.

"La parola come medicina dei mali familiari"

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Note
  1. A. Piotti, La parola è nostra alleata, in Famiglia Oggi, 1 (2007) p. 15. img nota

  2. É una notizia del 2004 data dai quotidiani, che informa di un suicidio collettivo, in Giappone, organizzato da giovani attraverso un sito internet specializzato nel dare informazioni sulle tecniche e i luoghi da prediligere per il suicidio. img nota

  3. G. Gillini, Adolescenza: “slegami” in libertà, in Famiglia Oggi, 1 (2007) p. 33. img nota

  4. Charmet, La crisi suicidale in adolescenza, 9. img nota